TERRITORIO

Storia.Vincenzo Salvagnoli. Un risorgimentale Empolese

Vincenzo Salvagnoli  (Corniola frazione di Empoli 1802 – Pisa 1861.

 

Nato in una delle famiglie più antiche di Empoli, compì gli studi secondari presso il collegio di Colle Valdelsa, poi si recò a Pisa per compiervi gli studi giuridici. Sin da ragazzino era visibile quel temperamento di antico e nuovo, quella libertà di coscienza di cui si fece interprete fino all’ultimo momento della sua vita e testimoniato dalle parole , dagli scritti e dal suo modo di governare. Dopo la laurea si trasferì a Firenze per fare pratica legale ma non tralasciando, come molti suoi contemporanei, “ le belle lettere e la storia” e frequentandole principali accademie e circoli culturali fiorentini, come l’Accademia dei Gergofili ed il Gabinetto Viesseux, istituito con il Manifesto del 9 dicembre 1819 da Giovan  Pietro Viesseux come punto d’incontro tra studiosi e viaggiatori, dove tutti potevano trovare libri e pubblicazioni da consultare, con un catalogo per ricevere libri anche a domicilio. A Firenze il giovane Salvagnoli cominciò a mettere in evidenza il suo ingegno mostrandosi sia acuto e burlesco come un antico novellatore toscano che acuto e profondo studioso dei filosofie degli economisti più liberali sui quali innestava i grandi latini, e Tacito sopra a tutti. Collaborò con la rivista “l’Antologia italiana”, istituita dal gruppo dei pensatori liberali che facevano capo al Viesseux  e, soppressa poi  (1833) dal Granduca  dopo che questi vi subodorò scopi e finalità eminentemente politici.  Il  Salvagnoli, nel 1833, fu arrestato dalla polizia granducale, quale “liberale assai pericoloso” e confinato nella Fortezza Vecchia di Livorno. Strinse una solida amicizia con Stendhal in compagnia del quale iniziò un  viaggio in Francia, che gli consentì di entrare in contatto con il mondo politico e culturale della Parigi di Luigi Filippo, al quale guardarono i liberali toscani.

 Alla vigilia dei rivolgimenti del 48’ aveva mosso acerbe e serrate critiche dal foglio “La Patria”, da lui diretto, alla troppa arrendevolezza dimostrata dal Granduca dall’allora ministro “il marchese Cosimo Ridolfi”. Anche durante alcune sedute del parlamento granducale aveva ammonito sia il Ridolfi che il Baldasseroni sui pericoli  cui avrebbe potuto condurre l’inerzia di un monarca per di più non sorretto da ideali di libertà. Ad una anno dal fatidico 1848 pubblicò il discorso “Sullo stato politico della Toscana”in cui esortava il Granduca a stringersi in federazione con il Regno di Sardegna e  lo Stato Pontificio per la creazione di uno stato iltaliano.  “Nel corso di nove anni tutto è mutato. L’Italia c’è; dall’essere insultata come nome geografico è cercata sui campi di battaglia e nei congressi diplomatici, armata, odiata, temuta, accarezzata. La nazionalità ha prodotto i suoi titoli con l’armi, col senno e con le note, nessuno lo impugna e un grande stato lo cuopre con la sua bandiera. Gli stessi suoi alleati lo sostengono con loro fervore e interesse; gli stessi errori commessi in questi nove anni hanno sempre mostrato che questa gran forza esiste e che bisogna riconoscerla e comporre con essa le sorti italiane.”

Nel 1848 si impegnò politicamente fino a diventare deputato della circoscrizione di Empoli nella camera elettiva dove cominciarono i trionfi della sua potente ed impetuosa parola. Durante la breve esperienza del triumvirato repubblicano di Mazzoni,  Guerrazzi e  Montanelli, il Salvagnoli dovette andarsene dalla Toscana, da cui raggiunse Torino e poi Nizza. Il trasferimento a Torino fu un vero e proprio esilio volontario dove, tra l’altro, ebbe stretti rapporti di familiarità col Cavour e con Vittorio Emanuele II° (che pare sia stato ospite clandestino nella villa della famiglia Salvagnoli a Corniola, nelle vicinanze di Empoli) oltre ai frequenti colloqui con lo stesso Napoleone III°, a testimonianza del fatto che non rimase inoperoso quando la patria aveva bisogno d’aiuto tanto da portare a compimento la sua conversione liberale agli ideali risorgimentali. Aderì politicamente all’unificazione attivata dai Savoia col plebiscito dei Toscani (1860) ed entrò nel governo provvisorio della Toscana con il ruolo di Ministro degli Affar i Ecclesiastici, purtroppo per soli due anni. Operò pure nella sua terra natale con la posa della prima pietre del museo della Collegiata di Empoli. Nominato senatore si trasferì a Pisa  per motivi di salute, dove morì due giorni dopo la proclamazione del Regno d’Italia, mentre era ospite al Palazzo Leoli. Poche ore prima di morire volle fare con gli amici visitatori un brindisi al nuovo re,dove egli stesso gridò con sorridente volto e voce sicura: Viva il re d’Italia! In questa frase si comprendono i desideri di tutta quanta la vita del Salvagnoli che ebbe nel costante pensiero la  monarchia rappresentativa e l’unità d’Italia. In municipio a Pisa  si stabilisce di seppellirlo nel camposanto della città e, per pagare le spese del funerale, il fratello Antonio dovette  vendere una notevole parte dei libri della biblioteca di famiglia. Sul giornale “La Nazione” del 24 marzo 1861 compare una iscrizione relativa ai funerali, dettata dal professor Pasquale Villari, ordinario di storia dell’ateneo pisano:

“In questo tempio al senatore Vincenzo Salvagnoli che visse per l’Italia e fu di coloro che nel giorno del pericolo tennero alto il vessillo dell’Unità Nazionale con quella fermezza che rese la Toscana ammirabile agli occhi del mondo civile assalito da malattia incurabile l’animo suo forte della speranza dell’avvenire combattendo la natura che serbò in vita fino a quando gli italiani uniti sotto re Vittorio Emanuele giurarono il patto della concordia fraterna. Egli allora riposò tranquillo sul letto di morte il dì XXI marzo MDCCCLXI in età di anni LXI. Pisani pregate la pace dei giusti Rendete onore al cittadino Benemerito della patria.”

 

Via Salvagnoli.

A Salvagnoli è stata intitolata una strada di Empoli mentre era ancora in vita e ricopriva la carica di Ministro. La motivazione dell’intitolazione è conservata tra i documenti dell’archivio storico e si esprime come “attestato di riconoscenza e di affetto all’eccellenza Vostra, la quale forma una delle più autorevoli illustrazioni di questa terra della comune patria italiana.” Nella famiglia Salvagnoli non pochi furono i sostenitori dell’indipendenza e dell’Unità d’Italia. Il moto risorgimentale empolese, comunque, trovò in quella famiglia assertori decisi della necessità di liberare la patria dal giogo dei suoi secolari nemici interni ed esterni.  Giuseppe, sacerdote integerrimo,sospettato di carbonarismo, fu perseguitato dalla polizia granducale e confinato alla segregazione cenobitica nel convento di San Vivaldo, presso Montaione, dove vi morì ancora giovanissimo. Non si trattava di un pericoloso carbonaro, ma semplicemente di un buon cittadino aperto ai facili entusiasmi di una calda ma nobile passione politica. A Vincenzo Salvagnoli, non solo Empoli, ma l’Italia intera deve riconoscenza, perché operò costantemente e senza risparmio di energia allo scopo comune del riscatto nazionale.

Il giornale “La patria”.

E’ il titolo di un giornale voluto, diretto e in buona parte scritto da Vincenzo Salvagnoli che , comunque, controlla anche gli articoli più significativi e l’impaginazione. La “patria”, il giornale fondato non appena si è ottenuta la libertà di stampa, occupa,  dal 1847 al 1848, un posto di rilievo nel panorama delle pubblicazioni di questo periodo, perché pone le basi concettuali per l’Unione della Toscana al Piemonte. La denominazione del giornale, voluta da Vincenzo, è semplice, ma efficace e significativa, perché indica il desiderio e l’aspirazione all’unificazione. Vincenzo prepara gli articoli nelle veglie notturne, li rivede e li corregge nelle prime ore del mattino, sorveglia la stampa e si prodiga affinchè la rivista abbia una buona accoglienza. Questo giornale, scritto da uomini colti, ebbe una grande diffusione e spesso le copie stampate non sono sufficienti per soddisfare le tante richieste. Fino al luglio 1848 molti numeri editi pubblicano due o tre o tre articoli dell’avvocato empolese, alcuni dei quali sono assai consistenti e più simili ad un saggio di carattere politico che ad un articolo vero e proprio. Dopo questa data Vincenzo collabora saltuariamente. Il punto più qualificante, espressione delle idee politiche del Salvagnoli, è costituito da quanto scrive sul primo numero, il 2 luglio 1847: “ La gente che abitò nella penisola, almeno dalla caduta dell’Impero Romano in poi, ha composto una nazione, perché ebbe ed ha la stessa lingua, la stessa natura, la stessa storia, le stesse necessità, le stesse sventure, le stesse speranze. Ma la divisione dell’Italia in più stati non ha impedito  alla gente italiana di essere una nazione felice, una nazione forte. L’Italia dentro non ebbe e non ha quella uniformità di istituzioni politiche e di leggi che converrebbe alla comunione degli interessi e  dei voleri.”

Franca Ciari

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