“Fuori” di Mario Martone” “
Il bravissimo regista Mario Martone ci presenta una storia straodinaria , vera e girata con attenzione e nella scelta delle splendide attrici, Valeria Golino e Matilda de Angelis. Il film è più di un mese che è nelle sale e continua ad riempirLe .

Roma, 1980. Uscire dal carcere, Goliarda Sapienza cerca un lavoro per evitare lo sfratto. Ignorata come scrittrice, trova conforto solo nelle ex compagne di cella…ed è appena uscita dal carcere, dove è stata rinchiusa per aver rubato e rivenduto dei gioielli di un’amica. Ora che è fuori, deve trovarsi un lavoro per impedire lo sfratto dal suo appartamento, e cerca di tutto, compresi incarichi di cameriera e domestica, perché le sue collaborazioni come correttrice di bozze e giornalista non sono sufficienti. Nel cassetto ha il manoscritto di “L’arte della gioia”, che sarà pubblicato solo postumo e osannato a livello internazionale: ma al momento nessuno lo vuole (e in Italia nessuno lo pubblicherà fino a dopo l’enorme successo oltralpe. Nel tempo sospeso dopo la sua scarcerazione Goliarda trova conforto solo nella presenza di due ex compagne di carcere, Roberta e Barbara, l’una arrestata per motivi politici, l’altra per aver aiutato un malvivente di cui è innamorata. Fuori si basa in buona parte sui due romanzi in cui Goliarda Sapienza ha raccontato la sua esperienza carceraria e ricostruisce lo spaesamento della scrittrice, una volta rientrata Il resoconto ha forti richiami con la parabola della protagonista del romanzo, una sorta di Modesta di inizio anni Ottanta, la stagione post anni di piombo che ancora ne conserva la volontà eversiva,ma ha già perso la speranza di cambiare il mondo. Anche Roberta è capace di tutto, un cavallo selvaggio cui è impossibile mettere le briglie, e Goliarda l’ama per questo, considerandola un po’ figlia scapestrata e un po’ un suo alter ego del coraggio. Valeria Golino, che conosce a fondo la figura di Sapienza anche per averla a lungo studiata in preparazione alla sua regia della serie L’arte della gioia, ne coglie alla perfezione l’elusività e lo straniamento, vagando per il film peripatetico diretto da Mario Martone e da lui scritto insieme a Ippolita di Majo con la sensazione palpabile di una non appartenenza, non alla sua epoca o al suo contesto, ma all’esistenza tutta, e del suo sentirsi molto più affine alle carcerate che ai frequentatori dei salotti dell’intellighenzia. La sua Goliarda ha fame di vita (oltre che tentazioni di morte) e trova in Roberta e Barbara, rumorose, sopra le righe e sfacciate, le portavoce del suo grido inespresso.
Valeria come è nata questa idea di debutto dietro la macchina da presa? “Quando i responsabili della pasta Garofalo mi hanno offerto il progetto, ero un poco titubante, avevo paura di dovergli fare pubblicità, invece mi hanno rassicurato dicendomi che non serviva apparisse neppure uno spaghetto. Mi hanno lasciato libera, con pochissimi paletti: doveva essere un corto positivo, non più lungo di 15 minuti e ambientato nella città partenopea. Ovviamente l’idea di girare in quella che è la mia città d’origine mi ha da subito entusiasmato”.Anche l’idea di ambientare la storia a il Madre è stata una libera scelta? “Come ho già detto, il Pastificio Garofalo, in veste di produttore, ha posto pochi paletti e la scelta del Madre è stata “consensuale”. La produzione esecutiva è stata affidata a Buena Onda, società fondata nel 2009 dal mio compagno Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri. Riccardo durante le riprese del corto, colpito dalla suggestione dei luoghi, si è improvvisato fotografo di scena. Credo che l’operazione Garofalo Firma il Cinema sia una maniera molto elegante per un’azienda di fare comunicazione in modo diverso da quello usuale e, oltre ad avere un buon ritorno d’immagine, dà anche agli artisti la possibilità di esprimersi”.Nel cortometraggio emergono due immagini molto diverse di Napoli in antitesi tra loro. “Era nelle mie intenzioni evidenziare le due Napoli: quella dei vicoli chiassosi, vibranti di suoni e di passioni e l’atmosfera rarefatta del museo. ?La mia idea era che nel film ci fosse l’arte, ma che questo avvenisse quasi suo malgrado, capisce? Del resto Napoli è sempre in qualche modo e allo stesso tempo astratta e concreta, e credo che sia quasi impossibile sfuggire alla sua dicotomia, perché, come questo film, Napoli è mille cose ma anche niente ed è bella e unica anche per questo”
“Effettivamente, un po’ come in Lost In Translation, non sempre i miei personaggi si capiscono tra loro ed è Armandino che fa da tramite, manipolando spesso i messaggi”. È stato difficile formare il cast? “No, perché per la protagonista volevo una francese dalla bellezza antica ed Esther Garrel, sorella di un mio caro amico, era quello che cercavo. Gianluca Di Gennaro l’ho trovato tramite il classico casting e rispondeva perfettamente al personaggio del tipico giovanotto del sud; Iaia Forte era già l’immagine vivente della donna bella, solare e decisa, ideale per la parte della guardia giurata; insomma, sono stata molto fortunata”.Allora dopo questa esperienza positiva la vedremo ancora dietro la macchina da presa magari per un lungo? “Mi piacerebbe girare ancora e avrei già qualche idea”, ma vedremo. Per ora sono molto felice di poter partecipare al Locarno Film Festival con il mio primo lavoro”.
Viviana Del Bianco