CULTURA

Jean René e Penone a Firenze: arte o non arte? Le riflessioni del critico Nicola Nuti

Visto che, in risposta a un mio giudizio un po’ tranchant su un’opera che ho ritenuto scenografica e non artistica, ho ricevuto diverse invettive, mi corre l’obbligo (come si diceva una volta) di chiarire le cose.

Arte o non arte, abbiamo in città due interventi site specific, cioè realizzati per determinati luoghi: “Ferita”, di Jean René, e “Abete”, di Giuseppe Penone: entrambi oggetto di critiche e feroci ironie, ma che comunque hanno destato interesse.

“Ferita” è l’ esempio di un’ operazione efficace sul piano della comunicazione ed esteticamente accettabile (del resto il trompe l’oeil è pratica apprezzata da secoli): si riferisce chiaramente all’ attuale impossibilità di fruire del patrimonio artistico, una ferita, appunto, nell’animo di chi ama l’arte ed è costretto a immaginarla attraverso un artificio che riproduce ciò che è precluso alla vista. Si tratta di una sorta di scenografia per la messa in scena dei nostri disagi, quindi al servizio di un tema attuale, come i grandi scenografi si mettevano al servizio dell’arte drammatica. Compito della scenografia è dare visione alle parole, per questo artisti come Sironi, De Chirico, Casorati, Severini, Scialoja, Melotti, Manzù, fino ad Arnaldo Pomodoro, Nunzio, Consagra, Mimmo Paladino, per citarne alcuni, si sono prestati alle realizzazioni scenografiche. Proprio per questo essere “in funzione di” la scenografia non possiede una vera e propria autonomia nella dimensione artistica. Ecco perché la Ferita, in quanto mise en scene di un sentimento collettivo all’ interno di un contenitore (la piazza) con il suo pubblico, che utilizza il Palazzo come boccascena, può essere paragonata a una sorta di scenografia e quindi non un’ opera d’arte, ma un’ opera di arte applicata.

Dalla mise en scene alla mise en espace, Giuseppe Penone indica l’asse fra terra e cielo col suo abete stecchito di acciaio e bronzo. La scultura sfida il difficile spazio di Piazza Signoria: una celebrazione monumentale dell’ arte povera (che tanto povera, in questo caso, non è, visti i materiali e le raffinate tecniche di fusione necessarie alla sua realizzazione) all’ interno di un contesto anch’ esso monumentale. L’ opera va al di là della ricerca estetica e si fa segno necessario per esprimere un senso di devastazione, ma anche di resistenza esistenziale. L’ Abete di Penone non piace e non vuole piacere; neanche a me piace, ma sappiamo che non è a una categoria di gusto che ci si deve riferire in questo caso, ma alla coerenza tra materiale e concetto che è alla base dell’espressione artistica. Tutto sommato si torna all’ idea crociana secondo cui il valore estetico è collocato nella sfera della conoscenza intuitiva, regno della metafisica, e per questo non vincolata a interessi utilitaristici o a preoccupazioni di carattere morale. Dunque l’Abete, nella sua “bruttezza” evoca molteplicità di significati, mentre la Ferita, senz’ altro più gradita al gusto comune, ha un valore sostanzialmente univoco e legato alla cronaca di un tempo. Insomma ci troviamo tra due aspetti della creatività: quello affine alla visione duchampiana, ripresa da Beuys nella celebre frase “Jeder Mensch ist ein Kunstler” (Jean René) e quello legato al concetto di Walter Benjamin che vede la “reliquia” (ciò che resta) diventare opera d’arte quando il suo significante trova un luogo consacrato all’ arte in cui essere mostrato.

Nicola Nuti

Alessandro Lazzeri

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